Cofinanziato dall’Unione Europea attraverso il programma LIFE CCM 2018, Life agriCOlture interroga il ruolo che l’allevamento animale può svolgere nei territori montani ai fini della protezione del suolo e del contributo alla mitigazione del cambiamento climatico. A questo fine testa e valuta, in un contesto montano paradigmatico per il settore zootecnico, buone pratiche connesse all’allevamento indicate dalla ricerca come efficaci ai fini della protezione del carbonio organico del suolo e della riduzione delle emissioni di GHG. Parallelamente alla loro applicazione e valutazione, Life agriCOlture mette a sistema e diffonde tali buone pratiche all’interno di un innovativo contratto territoriale per la produzione di servizi agro-climatici-ambientali.
Il caso studio scelto, quello del sistema foraggero e zootecnico dell’Appennino emiliano, rappresenta per Life agriCOlture una condizione privilegiata per testare buone pratiche di mitigazione legate all’allevamento e alla foraggicoltura di montagna e la loro messa a sistema e replicazione attraverso un contratto territoriale. Un caso studio privilegiato essenzialmente per il livello di organizzazione produttiva e sociale espresso dalla filiera del Parmigiano Reggiano e per il carico animale presente in questo territorio, il più alto in area appenninica e forse il maggiore di tutta la montagna italiana. Il sistema colturale e zootecnico dell’Appennino emiliano può essere infatti letto come esito di un vasto progetto di costruzione sociale del territorio, legato essenzialmente alla filiera del Parmigiano Reggiano, venuto dispiegandosi attraverso una fitta maglia di caseifici cooperativi, un tessuto fine di piccole imprese contadine e un imponente progetto di trasformazione ambientale finalizzato a sopperire a condizioni climatiche non ottimali per la praticoltura. Alla scarsità di precipitazioni estive si è infatti storicamente sopperito attraverso due radicali strategie di trasformazione ambientale: da un lato, la totale conversione della maglia fine di seminativi (integrati nel sistema della piantata almeno fino agli anni ’60 del Novecento) in ampie superfici ad erba medica meccanizzabili e scarsamente idroesigenti, dall’altro lato, attraverso il consolidarsi di una dipendenza metabolica tra allevamento di montagna e foraggicoltura di pianura.
Accanto agli eccezionali punti di forza della filiera del Parmigiano Reggiano, Life agriCOlture evidenzia nel sistema foraggiero e zootecnico dell’Appennino emiliano un elemento di debolezza nella diffusione di pratiche agricole che in molte situazioni si rivelano non compatibili con la fragilità idrogeologica di questo territorio. Come conseguenza, la perdita di suolo fertile e del suo contenuto di sostanza organica sembra oggi minare alla base la riproduzione materiale di questo paesaggio e, nell’immediato, compromettere le performance produttive, ambientali – e quindi anche climatiche – degli allevamenti. Al fine di rispondere a questa problematica, Life agriCOlture elabora e propone, per ciascuna delle sue 15 aziende dimostrative, un protocollo di lavoro che declina, rispetto alle specificità dei singoli modelli di organizzazione aziendale, buone pratiche connesse all’allevamento indicate dalla ricerca come efficaci ai fini della protezione del carbonio organico del suolo e della riduzione delle emissioni di GHG e, allo steso tempo, in grado di rispondere all’esigenza di efficientamento produttivo degli allevamenti montani e della loro foraggicoltura. Protocolli di lavoro che operano, attraverso specifiche strategie, a livello dei 4 ambiti in cui si articola il ciclo produttivo dell’allevamento specializzato contemporaneo:
Protocolli di lavoro che hanno allo stesso tempo una forte rilevanza sociale se si considerano i servizi ecosistemici che ne derivano e il ruolo chiave che una corretta gestione sostenibile del suolo agricolo assume rispetto a quell’attività di manutenzione del territorio così vitale per la montagna. Coerentemente con queste finalità sociali, Life agriCOlture riconosce la necessità di supportare e coordinare l’attività degli agricoltori di montagna nel produrre questi fondamentali beni agro-ambientali-climatici attraverso l’elaborazione e la valutazione di uno specifico contratto territoriale – il “Patto per il Suolo” – stipulato tra enti pubblici con mandato di gestione del territorio e “agricoltori custodi del suolo”. Un contratto già implicito nel partenariato di Life agriCOlture che unisce due Consorzi di Bonifica di vaste dimensioni, Emilia Centrale e Burana, un centro di ricerca d’eccellenza in ambito zootecnico come CRPA, un ente per la conservazione ambientale come il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano e 15 aziende agricole dimostrative, rappresentative della complessità sociale e produttiva di questo territorio.
Obiettivi e relativi outputs che il progetto intende realizzare
> Sviluppo e applicazione di protocolli/Linee guida di utilizzazione di buone pratiche agronomiche indicate dalla ricerca scientifica come utili per salvaguardare il carbonio organico del suolo (rotazioni colturali, pratiche di agricoltura conservativa, sistemazioni idraulico agrarie), calate nello specifico contesto ambientale e di struttura agraria dell’Appennino emiliano.
> Sviluppo e applicazione di un modello di governance finalizzato a supportare la diffusione delle buone pratiche legate alla conservazione del carbonio organico del suolo e all’elaborazione di strategie, scenari e politiche per guidare il settore zootecnico verso un’azione efficace di mitigazione dei cambiamenti climatici e riduzione del rischio idrogeologico.
> Sviluppo e applicazione di nuovi strumenti di contabilizzazione delle emissioni e sequestri di GHG alla scala aziendale e territoriale (con riferimento al recente Regolamento UE 2018/841).
> La caratterizzazione di un numero consistente di suoli agricoli (per un totale di 240 campioni), rappresentativo della complessa e stratificata natura pedologica dell’appennino emiliano.
Dal punto di vista quantitativo tali obiettivi si traducono nei seguenti indicatori:
> Utilizzazione delle buone pratiche proposte da agriCOlture in almeno 2,5 ettari di SAU per ogni azienda dimostrativa coinvolta, con un incremento di tale superficie del 5% a fine progetto.
> Mantenimento delle riserve di carbonio nei suoli oggetto di buone pratiche.
> Per l’allevamento, per il quale si prevede un percorso produttivo a basso impatto, si stima una riduzione delle emissioni di CO2 equivalenti delle aziende dimostrative del 5% a fine progetto, con una riduzione di circa 1.178 tonnellate di CO2 emessa dalle 15 aziende.